GIANNI DE LUCA (1927-1991)
Gianni De Luca nasce in un paesino della Calabria e, a sei anni, si trasferisce a Roma dove si diploma al liceo artistico di via Ripetta e si iscrive alla facoltà di architettura senza però completare gli studi. Inizia a lavorare come disegnatore fin dai tempi della scuola, esordendo nel 1947 con Il Mago Da Vinci, il suo primo “cineromanzo” (così si chiamavano le storie a fumetti), e da allora non smette più. I suoi modelli sono il leggendario Leonardo Da Vinci e i contemporanei americani Harold Foster (Tarzan, Principe Valiant), Alex Raymond (Flash Gordon), Chester Gould (Dick Tracy) e Milton Caniff (Steve Canyon). Negli anni Settanta De Luca realizza le sue opere più famose: la serie, scritta da Gianluigi Gonano, de Il commissario Spada, che inaugura il genere del poliziesco all’italiana, trattando temi d’attualità e di denuncia sociale (e che fa vincere nel 1971 a De Luca il prestigioso premio Yellow Kid); e la trasposizione a fumetti di Amleto, La tempesta e Romeo e Giulietta, sceneggiata da Raoul Traverso (Sigma), dove il virtuosismo di De Luca conquista le massime vette, facendo della “trilogia shakespeariana” un autentico capolavoro. De Luca illustra inoltre racconti di ambientazione storica (La più grande storia mai raccontata, I giorni dell’impero), moderna (Avventura sull’Orinoco) e fantascientifica (Paulus), storie comiche (Il Giornalino di Gian Burrasca), adattamenti di opere letterarie (La freccia nera di Robert Louis Stevenson) e biografie (Totò, Marilyn Monroe).



Con la sua sperimentazione stilistica De Luca stravolge gli schemi della sequenzialità tradizionale e dunque, i canoni di lettura del fumetto (da sinistra a destra, dall’alto verso il basso). Innova completamente la pagina. Per esempio, introduce la tavola a sfondo unico (splash page) – singola ma anche doppia – dove, eliminando la suddivisione in quadretti, sostituisce gli spazi bianchi delle vignette con strutture architettoniche o ambientazioni naturali. Oppure, con un altro artificio grafico, sempre per rappresentare lo scorrere del tempo nello spazio di una tavola unica, ritrae i personaggi più volte, in pose successive, come se si muovessero in una coreografia teatrale o in una sequenza cinematografica (questo espediente è conosciuto all’estero come il “De Luca Effect”). E ancora, mischia tecniche diverse per rendere epoche diverse, per esempio, usa la china per il racconto principale e la tempera per evocare, “citare”, un tempo passato.
Senza rimpianti De Luca collabora per tutta la vita con la stampa cattolica (Il Giornalino, Il Vittorioso) pur riconoscendo che quelle politiche editoriali, basate prevalentemente su insegnamenti catechistici, ponevano limiti alla sua creatività. Rinuncia quindi a pubblicare in riviste più colte, di rilievo e all’avanguardia (Linus, Frigidaire) e questo gli preclude di raggiungere la visibilità e il successo, soprattutto internazionale, che invece merita. Ciò non nega al fumetto popolare di De Luca di entrare a pieno titolo tra i più importanti fumetti d’autore italiani.

L’Amleto di De Luca/Sigma viene pubblicato nel 1976 sui numeri dal 3 al 10 de Il Giornalino. È composto da quarantotto pagine, la maggioranza di cui sono tavole singole o doppie, dove si può ammirare il cosiddetto “De Luca Effect”.
La tavola n. 17, nota anche con il nome di “tavola essere o non essere” in realtà contiene la fine del secondo soliloquio di Amleto (atto I, scena II), mentre la tavola n. 18 registra l’unica battuta tratta dal terzo, e più celebre, soliloquio, “essere o non essere” (atto III, scena I). Per ottimizzare lo spazio e per rispettare le indicazioni editoriali della casa editrice cattolica, viene dunque scelto di mettere insieme i due soliloqui sul dubbio esistenziale, ma tacendo tutta la parte in cui Amleto, prima, contempla la legittimità morale del suicidio – vietato appunto dalla religione – in un mondo di inaudite sofferenze, e poi allontana quel gesto estremo ma solo perché si sente più spaventato dal mistero della morte: “se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte, / La terra inesplorata dai cui confini / Non torna il viaggiatore, paralizza la volontà / E ci fa sopportare i mali che abbiamo / Piuttosto che fuggire verso quelli che non conosciamo? / Così la coscienza ci rende tutti codardi” (“But that the dread of something after death, / The undiscovered country, from whose bourn / No traveller returns, puzzles the will, / And makes us rather bear those ills we have / Than fly to others that we know not of? / Thus conscience does make cowards of us all”). Tuttavia, bisogna anche rimarcare che forse, più semplicemente, l’azione di Amleto, in questo punto della tragedia, è bloccata perché il giovane principe ancora non è certo che le parole dello spettro siano veritiere.

tavola n. 17 “essere o non essere” e tavola n. 18
Nella tavola n. 17 Amleto attraversa lo spazio entrando dalla porta in alto a sinistra, girando in tondo e uscendo in basso a destra. La sua figura, sempre intera, si moltiplica in sedici pose. Nella sequenza, il movimento esteriore di Amleto riflette quello interiore. Amleto entra nel salone, cammina a testa bassa con un libro rosso chiuso in mano, medita senza proferire parola e compie un tragitto circolare, mimando l’arrovellarsi del suo pensiero. Poi assume una posizione più eretta, pronuncia alcune frasi dal secondo soliloquio, alza la testa, apre per un attimo il libro rosso, e, come se avesse maturato una decisione, esce dal cerchio che stava percorrendo. De Luca stesso definisce la traiettoria di Amleto sulla pagina come una specie di “punto interrogativo”. La prima parte della traiettoria, quella che segna il passo di Amleto in un cerchio antiorario, che potrebbe anche ripetersi in loop per un tempo infinito (rompendo le regole convenzionali di lettura da sinistra a destra, e da sopra a sotto), fa vedere un Amleto dubbioso. La seconda parte della traiettoria, quella che sgancia l’incedere di Amleto dal cerchio e lo fa avanzare verso lo spettatore, mostra un Amleto più risoluto. Eppure, proprio in questo frangente, Amleto è disegnato mentre cammina su un pavimento che ricorda una tela di ragno, come a suggerire che si tratti di una trappola, di una soluzione pericolosa. La tavola n. 18 è resa con la prima e unica battuta del soliloquio del terzo atto, “essere o non essere; questo è il problema…”, e indica forse un tempo più tardo – Amleto non ha più il libro rosso in mano – dopodiché si salta all’incontro con Ofelia, in cui Amleto esibisce istrionicamente la sua (presunta) pazzia. Lo scambio tra i giovani è spiato dal Re di Danimarca, Claudio, e dal padre di Ofelia, Polonio, in una striscia a forma di L che riproduce graficamente i due dietro una tenda o un sipario.
L’ideologia cattolica

Nella scena in cui uccide Polonio nascosto dietro l’arazzo pensando che sia Claudio, Amleto chiude con un commento che non è presente nel testo shakespeariano e che derubrica immediatamente il suo atto sanguinoso: “Povero Polonio, quanto è accaduto è senza senso!… e la tua tragica fine trascinerà dietro di sé altre sciagure!…” Nell’originale Amleto, non solo non prova pietà per Polonio, ma continua a insultarlo motivando la sua morte come una giusta punizione: “Tu sciocco temerario, sciagurato, impiccione, addio! / Ti ho preso per uno più grande di te. Accetta la tua fortuna. / Così scopri che immischiarsi troppo è pericoloso” (“Thou wretched, rash, intruding fool, farewell! / I took thee for thy better. Take thy fortune. / Thou find’st to be too busy is some danger”).
Contaminazione di stili e cambio di registro

All’inizio della tragedia, lo spettro del vecchio re di Danimarca appare a suo figlio Amleto per rivelargli la verità sulla sua uccisione. De Luca usa due tecniche per rendere il messaggio del re: la nuvoletta standard in cui il re riferisce, riassumendo, l’accaduto; e la visualizzazione del racconto, più dettagliato, in sei quadri che ricordano una vetrata medievale (ma anche sei vignette), dove i personaggi, stilizzati su un fondo di tessere colorate, scandiscono un momento, un flashback, che non appartiene al tempo dalla narrazione.
De Luca. Il disegno pensiero, Ed. Hamelin Associazione Culturale, Bologna, Black Velvet, 2008.